lunedì 7 maggio 2018

Una sentenza che riguarda tutti. Grande giornata per il giornalismo (Svizzero).

All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciata in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà. È un verdetto scolpito nella pietra, quello con cui ieri a Bellinzona il giudice della Pretura penale, Quadri ha assolto quattro giornalisti del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna, che considerava diffamatori i loro articoli nei quali sollevavano anche interrogativi sull’organizzazione interna e sull’agire della struttura sanitaria privata in relazione al caso Rey (l’amputazione, per errore, di entrambi i seni a una paziente).  La sentenza appena emessa non riguarda però solo la nostra categoria. Riguarda tutti i cittadini. Che in democrazia hanno il sacrosanto diritto di essere informati su tutto ciò che attiene a temi di interesse pubblico – e la sanità è uno di questi – affinché possano farsi un’opinione per poi dibattere e decidere con cognizione di causa. I mass media, dopo aver verificato la veridicità di quanto appreso, hanno allora il dovere di riferire, ponendo pure quesiti e continuando a porli sino a quando non avranno ricevuto una risposta. Eloquenti le parole del pretore: «In casi di interesse pubblico la stampa deve informare». Deve. La stampa come il cane da guardia: il cane da guardia della democrazia. L’immagine non è nuova, ma non accade spesso di sentire un giudice affermare che «è meglio accettare che un cane da guardia abbai per niente, piuttosto che non abbai affatto» e non avverta così del pericolo.  Ma i tentativi dell’autorità e dei cosiddetti poteri forti di anestetizzare l’informazione quando va contro i rispettivi interessi sono presenti anche nelle democrazie avanzate. Per picconare la libertà di espressione non è necessario ammazzare, imprigionare i giornalisti scomodi, come avviene nelle dittature: basta minacciare denunce o infliggere sanzioni pecuniarie, anche se sospese condizionalmente. Denunce e multe per intimorire il cronista, perché desista dall’indagare, dall’approfondire. Con una conseguenza nefasta per l’intera collettività: l’autocensura. Insomma, la libertà di stampa non è scontata neppure in una società liberale e democratica. Benissimo ha fatto quindi il giudice Quadri a confermare un principio costituzionale, applicandolo – con solide argomentazioni – a un caso concreto. La sua sentenza, inoltre, ridà vigore e credibilità al giornalismo d’inchiesta, documentato. E non è cosa da poco nell’era della comunicazione sovente non verificata dei social. Il valore del giornalismo d’inchiesta ieri è stato riconosciuto.

Il caso:
l’amputazione per errore di entrambi i seni alla paziente sbagliata. 
Il bisturi è in mano al dottor P. R. l’intervento avviene l’8 luglio 2014. Il settimanale ‘Il Caffè’ tra maggio e luglio 2016 dedica una serie di approfondimenti volti a chiarire, o a tentare di chiarire, se anche la clinica abbia delle responsabilità nel terribile equivoco. L’inchiesta giornalistica si basa sul rapporto della Commissione di vigilanza sanitaria che ha nel frattempo provveduto a verificare operato del medico e organizzazione dell’ospedale, evidenziando una situazione ad “alto rischio di confusione”. Altroché diffamazione, per il pretore Quadri «il giornale a quel momento era del tutto legittimato a interrogarsi sul caso». In primis perché l’interesse pubblico che motiva la pubblicazione di ogni genere di notizia era più che palese. «La salute pubblica e la corretta gestione della salute dei cittadini è una tematica di estremo interesse – rileva Quadri dando motivazione orale (e appassionata) della sentenza – e di cui i media devono certamente interessarsi, proprio perché in gioco vi è la salute e la sicurezza dei cittadini, oltre che ingenti impegni finanziari». 
Lo scambio di pazienti in una clinica svizzera «è oggettivamente un problema grave, non solo per il medico, ma anche per la struttura che lo ha ospitato». Per cui si giustificavano approfondimenti sulla «struttura sanitaria», i «suoi controlli», le «sue misure di sicurezza».
Un errore ‘allucinante’
«Non si può nella fattispecie ignorare che l’errore commesso è talmente impensabile da averlo reso allucinante. La stampa non può non occuparsi di un evento di questo tipo, e ciò indipendentemente dalle persone a cui verranno accollate le responsabilità amministrative o penali».  «Ma dobbiamo valutare quello che i giornalisti potevano pensare al momento della pubblicazione», fa presente a più riprese il giudice. Oltre a ciò che sapevano: «Erano informati quasi quanto le parti – valuta il giudice –. Contrariamente a quanto stabilito dal procuratore pubblico, ‘Il Caffè’ ha bene analizzato la documentazione pervenuta in suo possesso e ha opportunamente tratto le sue domande. E lo ha fatto senza sostituirsi all’autorità giudiziaria». Anche quando, nello spulciare la legge sanitaria, ha ravvisato potenziali conflitti sull’obbligo di segnalazione dell’errore al Ministero pubblico. Il giornale «era del tutto legittimato a chiedersi se il dovere di informare la paziente competeva anche alla clinica». Di più: «Non si può e non si poteva all’epoca non dedurre che Rey ha sì preso le decisioni sbagliate, ma anche che quell’errore si è purtroppo protratto nei tempi e nessuno ha fatto in modo di migliorare la situazione». Al settimanale «bisogna riconoscere che quando la verità è saltata fuori lo ha precisato», conformemente ai principi deontologici, che prevedono pure (come peraltro fatto) di raccogliere il parere di tutti gli attori coinvolti. «Non posso seguire i decreti d’accusa – conclude Quadri citandone dei passaggi –. Non posso, per lo meno in base al principio ‘in dubbio pro reo’, dire che i giornalisti hanno “esagerato l’importanza di singoli elementi”, “suggerito nessi di causalità non provati”, “reso illegalmente sospette determinati persone”, “suscitato dubbi malevoli”, “estrapolato ad arte da atti di inchieste in corso suscitando dubbi sulla serietà di chi ha lavorato in quel contesto”. Non posso neanche dire che hanno ricorso a un “mix di titolazioni” e immagini volte “a esasperare i fatti”. È lo stile del ‘Caffè’, piaccia o meno. Però la tragedia si è consumata».



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